“Cina e Giappone, bio-mercati emergenti”, di Fabrizio Piva.

<div style="text-align: justify;"><b></b>In
Giappone, Cina, India, Corea del Sud, Israele, Filippine, Taiwan e
Thailandia, vi sono specifiche legislazioni che disciplinano la
produzione, la trasformazione e il controllo dei prodotti biologici.
Analizzare i mercati di questi Paesi significa comprenderne le
dinamiche e le necessità che nel breve periodo potrebbero giocare un
ruolo positivo per le nostre esportazioni; già oggi nei Paesi asiatici
più interessanti i prodotti biologici italiani sono presenti e
apprezzati. La superficie censita a biologico in Asia ammonta a circa
2.900.000 ettari, e quasi 110.000 operatori, considerando che nel 2004
la superficie coltivata a biologico era di 736.000 ettari con 66.000
operatori. Quindi nell’ultimo triennio c’è stata una crescita
considerevole delle superfici e della produzione, spinta in particolare
dallo sviluppo registrato dalla Cina che rappresenta il 79% della
superficie biologica totale dell’Asia. Fino ad oggi il volume di affari
in Asia è di circa 2 miliardi di euro, ma in costante crescita. Cian e
Giappone sono i principali protagonisti. Cina: nel 2006 la Cina ha
espresso un volume d’affari di circa 700 milioni di euro, suddivisi fra
esportazione di materie prime agricole e consumo interno. La rapidità
con cui la popolazione dispone via via di quote di reddito crescente e
la scelta del Governo cinese di incentivare l’agricoltura biologica,
fanno ritenere che i prodotti biologici si diffonderanno sempre più.
Nel 2005 è stata promulgata la normativa che disciplina il settore
delle produzioni biologiche rifacendosi agli standard disponibili a
livello internazionale, fra cui quello Fao del Codex Alimentarius, e
alle legislazioni internazionali vigenti, in primis quella comunitaria.
Giappone: il Giappone fin dal 2000 ha disciplinato il settore, e nel
2005 ha aggiornato il sistema. Allo stato attuale il mercato del
biologico raggiunge un volume d’affari di circa 500.000 euro. Secondo
recenti stime di Euromonitor si presume che il mercato interno
giapponese raddoppi entro il 2011, e che la maggior parte della domanda
interna debba derivare dalle importazioni che già oggi rappresentano
più del 70% della domanda interna.
In prospettiva, la Cina può diventare un potenziale sbocco per le
nostre produzioni trasformate, anche se sono pochi i consumatori che
conoscono i nostri prodotti e la nostra cucina. Diversa è la situazione
in Giappone, dove la cucina italiana è ben conosciuta, e dove oltre
alla qualità dei prodotti è essenziale la gamma dei servizi e le
garanzie offerte in continuità, velocità e presenza in loco. Dal punto
di vista interno, per l’Italia è importante attivare strategie e
politiche di medio-lungo periodo per rafforzare uno dei comparti più
promettenti del made in Italy di qualità, qual’è appunto quello
dell’agroalimentare biologico.
<br></div><i>Fonte di informazione:</i> “Informatore Agrario”, n° 31, 24/30 agosto 2007, pg. 38-39.