<div style="text-align: justify;">Prima che Novartis Agribusiness
scomparisse per dare vita con Solplant-Zeneca Agrochemicals a Syngenta,
il professor Sala esibiva con fierezza la qualifica di ''esperto
Novartis''. Avendolo perso per un po’ di vista, non sappiamo se ora si
possa vantare della qualifica aggiornata di “esperto Syngenta”; quello
che è certo è che non si può attribuire alcun carattere d’imparzialità
e indipendenza ai suoi interventi in materia di agroalimentare.Non
avevamo quindi dubbi sul fatto che non avrebbe voluto far frequentare
alla nipotina una scuola che servisse prodotti biologici in mensa.
L’innocente bimbetta sarebbe condannata al precettore privato, dato che
tutte le amministrazioni pubbliche sono tenute a utilizzare
quotidianamente prodotti biologici nelle mense, come disposto
dall’art.59 della Legge 488/99. Trovare il professor Sala come primo
intervistato in un pezzo che volesse far chiarezza sull’agricoltura
biologica ci ha subito incuriosito, ma è l’articolo nel suo complesso a
richiedere alcune precisazioni, che qui cerchiamo di fornire.<br>
<b>Lo scetticismo sul biologico</b><br>
Nell’articolo si sostiene che lo scetticismo nei confronti
dell’agricoltura biologica non è raro tra gli esperti di biochimica.
Non abbiamo elementi a sufficienza per confermare o smentire. Comunque,
al di là del non accertato scetticismo dei biochimici, si può
certamente parlare di ostracismo da parte dei biotecnologi, che,
individuano nel basso impatto ambientale e nella tutela della
biodiversità (su cui si basa l’agricoltura biologica) l’ostacolo per il
coronamento del loro sogno di un’agricoltura semplificata, basata su
brevetti di patrimonio genetico alterato.
Non sono scettici, per sempio, i biologi e gli studiosi di scienze
agrarie. Non è un caso che la Facoltà di agraria dell’università di
Torino abbia avviato un corso di laurea in agricoltura biologica e che,
da qualche anno, quelle di Firenze, Milano, Padova e Napoli abbiano
inaugurato master.<br>
<b>La sicurezza dei prodotti biologici</b><br>
Scetticismo neppure da parte dei tecnologi alimentari e dei
responsabili dei servizi assicurazione qualità delle aziende che
producono o commercializzano biologico.
A meno che il Diario non voglia sostenere la tesi che la Centrale del
latte di Brescia, quella di Firenze, Pistoia e Livorno, Citterio,
Confruit, Coop, Delverde, Esselunga, Fattoria Scaldasole, Galbusera,
Granarolo, Granoro, La doria, Noberasco, Pellini caffè, Polli, Rigoni,
Yomo, e le altre 50 mila e passa aziende biologiche italiane immettono
in commercio prodotti sulla cui sicurezza abbiano motivo d’esser
scettiche
Oppure che intenda sostenere la tesi (altrettanto minata) che se i
prodotti delle grandi aziende sono sicuri almeno quanto gli analoghi
prodotti convenzionali, è comunque opportuno essere scettici nei
confronti dei prodotti delle aziende di minori dimensioni…<br>
<b>La crescita del settore biologico è mondiale</b><br>
<br>E’ vero; il biologico è il settore più in crescita dello scenario
agroalimentare, ma non solo nel ricco occidente. E’ dal 1998 che
documenti ufficiali della Fao sostengono che l’agricoltura biologica
rappresenta un’opportunità per gli agricoltori Paesi in via di
sviluppo, ai quali la raccomanda in quanto presenta maggiori garanzie
di qualità, di sicurezza alimentare e per motivazioni di ordine
socio-economico. Per questo l’agricoltura biologica viaggia a braccetto
con il commercio equo e solidale, e garantisce condizioni di lavoro più
salubri, reddito, sicurezza e una generale migliore qualità della vita
a decine di migliaia di piccoli produttori di banane, caffè, the,
cacao, canna da zucchero in Africa, Asia e Sud America.<br>
<b>La maggior salubrità dei prodotti biologici</b><br>
Nel corso della conferenza europea “Towards a European Action Plan” del
gennaio 2004, Tony Sullivan, responsabile acquisti per i prodotti
biologici della catena britannica Sainsbury’s , non ha dichiarato “non
ci sono basi per affermare che il cibo biologico sia più sano” bensì
«non ci sono basi legali per affermare che il cibo biologico sia più
sano». A volte un “semplice” aggettivo può sconvolgere il senso di una
frase…
Il regolamento comunitario non autorizza a vantare, per i prodotti a
marchio biologico, maggiori qualità organolettiche, nutritive o
sanitarie. Questo perché il marchio biologico è un marchio di
conformità e non di qualità: la normativa precisa dettagliatamente le
caratteristiche tecniche a cui le aziende devono uniformarsi oltre alle
modalità delle ispezioni svolte dagli organismi di controllo, dalle
quali non può, evidentemente, scaturire una garanzia legale che il
prodotto sia più buono, più nutriente o più sano.
Che ciò, nei fatti, accada regolarmente, è però ugualmente
incontestabile. Sempre Sullivan, nel suo intervento di Bruxelles ha
riferito che il 38% dei clienti di Sainsbury’s sceglie i prodotti
biologici perché hanno un sapore migliore.
In Italia, l’INRAN (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la
nutrizione), da più anni impegnato in studi e ricerche per confrontare
i prodotti bio e convenzionali, ha rilevato nei primi una ''presenza
più massiccia di antiossidanti, molecole preziose per la nostra salute,
dal momento che aiutano a prevenire cancro e malattie
cardiovascolari''; che le pere biologiche contengono “più zuccheri, più
vitamina C e più antiossidanti rispetto alle pere convenzionali.
Inoltre sono più morbide e succose e meno soggette agli attacchi di
muffe e funghi, in grado, quindi, di conservasi meglio''; che le pesche
''contengono più antiossidanti e una maggiore concentrazione di ferro e
calcio (importanti per la crescita dei bambini) rispetto a quelle
convenzionali. E risultano anche più gustose, dolci e profumate''; che
le arance sono “più ricche di antiossidanti”.<br>
<b>Trewavas e il mito ideologico dell’agricoltura biologica</b><br>
Per quanto riguarda il professor Anthony Trewavas, si tratta
dell’ennesimo biotecnologo, con alle spalle un’intensa storia di
propaganda a favore della diffusione degli OGM e (quindi) contro
l’agricoltura biologica.
Citare gli interventi di Trewavas in materia di biologico equivale a
intervistare Abel Smith sull’acqua santa: il colore è assolutamente
garantito, la completezza d’informazione un po’ meno.
Nel 2000 Trewavas ha definito “anarchici piantagrane rovinosi
interessati unicamente a distruggere l’agribusiness statunitense”
(“bloody minded, anarchist and frankly merely destructive'' “interested
solely in destroying US agribusiness'') chiunque esprima posizioni
critiche sugli OGM, e nel 2001 è stato condannato per diffamazione nei
confronti di Greenpeace. E’ davvero singolare la tendenza dei
biotecnologi a tacciare di “atteggiamento antiscientifico” tutti gli
scienziati che non la pensano come loro.
Personalmente consideriamo scienziati anche l’oncologo Mariano Bizzarri
(professore di Biochimica all’Università La sapienza, membro del
Comitato per gli Organismi Geneticamente Modificati e del Comitato
Scientifico del Ministero delle politiche agricole e forestali), la
dottoressa Anna Ferro Luzzi (medico nutrizionista, già direttore
dell'Unità nutrizione umana all'Istituto nazionale per le ricerche sul
cibo e la nutrizione, attualmente direttore del Centro di nutrizione di
Roma-Italia in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della
sanità), Claudio Malagoli (professore di estimo rurale e pianificazione
agricola all’Università di Bologna, membro del Comitato operativo con
il compito di valutare l'impiego di OGM in agricoltura e del Consiglio
tecnico-scientifico degli esperti per la politica agricola e
agroalimentare per il triennio 2001-2004), Nelson Marmiroli (professore
di tecnologie ricombinanti all'Università di Parma, direttore del
Dipartimento di scienze ambientali, coordinatore della Sezione di
genetica e biotecnologie ambientali), Claudia Sorlini (professore di
microbiologia agraria alla facoltà di agraria di Milano, dove dirige
anche il Dipartimento di scienze e tecnologie alimentari e
microbiologiche, presidente della Società italiana di microbiologia
agraria, alimentare e ambientale) e molti altri. Tutti questi
personaggi sono tra i fondatori del “Consiglio dei diritti genetici” e
hanno in comune un punto di vista precauzionale e critico rispetto alla
commercializzazione degli OGM. <br>
<b>Ames e i pericolosi veleni naturali delle piante pericoloso</b><br>
E’ fuor di dubbio che le piante producano sostanze naturali per
difendersi dai parassiti. E’ anche fuor di dubbio che si tratta di
sostanze nocive per il ragnetto rosso e per altri animaletti e funghi,
ma non per l’uomo.
La semplicissima prova: se questi mezzi di difesa fossero tossici per
noi, che di piante spontanee e addomesticate ci cibiamo da circa 7
milioni di anni, anziché evolverci ci saremmo estinti…<br>
<b>La sicurezza dei prodotti chimici di sintesi</b><br>
E’ vero: dal febbraio 2004, , l’Europa si sta avviando verso una
maggior sicurezza per i prodotti chimici, grazie al nuovo regolamento
sulla chimica, che ordina il caos delle 40 precedenti direttive. Sul
mercato comunitario sono registrate 100.000 sostanze chimiche (pari a
400 milioni di tonnellate). In merito a esse, nel maggio 2003, la
Commissaria europea all’ambiente Wallstrom ha dichiarato: «Oggi siamo
tutti delle inconsapevoli cavie. Viviamo tra migliaia di prodotti
chimici dei quali non conosciamo appieno gli effetti. Nella grande
maggioranza dei casi non ci sono rischi, ma in altri si determinano
situazioni anche gravi di degrado dell'ambiente e di danno alla salute
umana. E questo, come gli epidemiologi ci insegnano, ci costa migliaia
di vite all'anno». Per dimostrare il suo assunto, la Wallstrom ha
esibito in conferenza stampa le sue analisi del sangue, che documentano
la presenza di sostanze chimiche, comprese quelle messe al bando da
decenni (DDT compreso). A febbraio è entrata in vigore la Convenzione
di Rotterdam, che prevede il consenso informato dei Paesi acquirenti di
alcuni prodotti chimici e pesticidi rischiosi. Nel presentarla, il
direttore esecutivo del programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente ha
dichiarato: ''Questo trattato consentirà ai paesi in via di sviluppo di
evitare molti degli errori compiuti nei paesi ricchi, dove l'uso
improprio di sostanze chimiche e pesticidi ha troppo spesso arrecato
gravi danni alla salute delle persone, e anche portato alla morte,
oltre ad avere danneggiato l'ambiente''. Sulla sicurezza dei prodotti
chimici finora (solo sul 14% dei quali, secondo la Commissione Europea,
esistono dati sufficienti sui rischi) può bastare.<br>
La nocività dei fitofarmaci ammessi in agricoltura biologica Nelle
aziende biologiche non si utilizzano mezzi di difesa di fantasia. Le
uniche sostanze utilizzabili in caso di pericolo immediato per le
colture sono enumerate dall’Unione europea negli allegati al
regolamento, secondo il criterio della lista positiva. Tra queste
figurano: oli e estratti vegetali, microorganismi utili, qualche sale
minerale (zolfo, rame, sabbia, sapone…). In letteratura non si è
trovato alcuno studio sugli effetti del Bacillus thuringiensis
sull’uomo. Considerando che: 1) è normalmente presente in natura (in
questo momento tutti lo stiamo respirando); 2) la Commissione europea
ha proposto al Consiglio UE di autorizzare l’importazione di mais dolce
transgenico BT11 (da trasformare in pop-corn e merendine) che trae la
sigla BT proprio dall’essere stato modificato con geni di Bacillus
thuringiensis, si può concludere che allo stato attuale il prodotto
(mortale per tignolette e afidi), può essere considerato assolutamente
innocuo per l’uomo<br>
Per quanto riguarda il rotenone (un estratto dalle radici delle
leguminose tropicali e subtropicali Derris, Loncho corpus e Thephrosia
usato come insetticida), è autorizzato dal Ministero della salute dal
1991. E’ utilizzabile solo in caso di necessità riconosciuta
dall'organismo di controllo; si degrada rapidamente e comporta rischi
estremamente contenuti per gli organismi che non rappresentano il
''bersaglio''. E’ nocivo per i pesci, ma presenta una tossicità molto
bassa per mammiferi e uccelli, tant’è che è impiegato in veterinaria
per il controllo di pidocchi e zecche.
La DL50 orale sul ratto è di 1.500 mg/kg; dato che il dosaggio di
utilizzo è di circa 2 grammi per 10 litri d’acqua, un ipotetico ratto
dal peso di 1 chilo dovrebbe astenersi dall’ingerire più di 7 litri e
mezzo di soluzione.
Il suo effetto dura da 2 a 3 giorni, contro i 20/30 giorni dei normali
“insetticidi sistemici” che, invece, sono assorbiti attraverso le
foglie e permangono nella linfa delle piante e dei loro frutti.
Per quanto riguarda la riduzione del rame (da sempre una delle
preoccupazioni delle aziende biologiche, che invocano un maggior
impegno da parte della ricerca per sviluppare sostanze meno impattanti,
ma parimenti efficaci per contenere le crittogame), le stesse norme
europee prevedono un utilizzo “a scalare”: dal 1 gennaio 2006 la
quantità sarà ridotta del 25%.
Rimane comunque singolare che l’accusa di utilizzare i sali di rame,
per quanto espressamente autorizzati dall’Unione europea e in
quantitativi sensibilmente inferiori a quelli utilizzati in agricoltura
convenzionale, pervenga abitualmente dai collaboratori di aziende che
hanno inventato DDT, Lindano, Paraquat, Parathion, agente Orange e
simili. <br>
<b>Tossine</b><br>
La leggenda metropolitana dell’agricoltura biologica è la tossina.
Alcuni funghi microscopici e filamentosi come l’Aspergillus, il
Penicillium e il Fusarium, che costituiscono le muffe, possono dar
luogo a tossine con gravi effetti mutageni, cancerogeni e teratogeni.
Da micotossine, aflatossine, ocratossine, fumonisine, vomitossine e
così via, quindi, è davvero il caso di guardarsi.
Però tutte le materie prime d'origine vegetale (biologiche o no)
possono essere contaminate da micotossine.
Le cause della contaminazione possono dipendere da fattori di campagna
e di magazzino, come l’umidità eccessiva, le temperature elevate, la
presenza di infestazioni di insetti, la forte concimazione azotata, la
monosucessione e il non ricorrere alla rotazione delle colture, a
modalità di irrigazione improprie, eccessivo utilizzo di pesticidi
durante la produzione, il trasporto, lavorazione, la trasformazione e
lo stoccaggio.
Si tratta di fattori assolutamente estranei all’agricoltura biologica.
Lo studio ''Micotossine e contaminanti negli alimenti: confronto tra
prodotti biologici e convenzionali” del Dipartimento di scienze e
tecnologie alimentari dell'università di Bologna afferma che la
quantità di micotossine nei prodotti biologici è al massimo uguale a
quella che si rileva nei prodotti convenzionali.
La presenza di tossine nel latte è legata al vasto utilizzo di mangimi
e di mais. Nelle aziende biologiche prevale l'utilizzo di razioni
complesse, che comprendono: fieno, fieno silos, pisello proteico e
altre leguminose, con una forte riduzione del mais. Tant’è che in
nessuna delle aziende zootecniche biologiche ispezionate dalle Asl
nell'autunno scorso, si è riscontrato un problema di contaminazione. <br>
<b>Il sale più nocivo del Roundup?</b><br>
Il professor Sala sostiene che si usano 20 grammi di RoundUp per
ettaro, anche se la scheda tecnica della Monsanto raccomanda un
dosaggio da 50 a 300 volte superiore, a seconda dell’infestante che si
intende combattere. Va da sé che lo esortiamo calorosamente ad
astenersi dall’ingerire un cucchiaino del diserbante per dimostrarne
l’innocuità. Anche se meno rischioso del Seccatutto prodotto da
Syngenta -la vecchia Aventis di cui funzionava da esperto- che è
classificato T+ (molto tossico), il Roundup Max è pur sempre
classificato Xi (tossico, irritante). <br>
<b>Letame></b><br>
Il letame è utilizzato da tutta l’agricoltura (agricoltura biologica
compresa) con le benedizioni della normativa vigente. Per fertilizzare
e ammendare il terreno non si utilizza letame fresco, ma letame
opportunamente compostato e maturato. Il prodotto che ne risulta è, né
più né meno, il terriccio che si acquista per le piante d’appartamento,
che tutti manipolano senza particolari timori. L’eutrofizzazione di
corsi d’acqua e mari (tutti ricorderanno le mucillagini dell’Adriatico)
non dipendeva certamente dall’utilizzo di letame da parte delle aziende
biologiche (che non possono allevare più di due vitelloni per ogni
ettaro), ma piuttosto dalla massiccia presenza di mega-allevamenti
industriali privi di terreno su cui spandere le deiezioni prodotte
dagli animali, che venivano smaltite tal quali, senza alcun processo di
compostaggio e di depurazione.<br>
<b>Il pio bove</b><br>
Non solo i bovini, ma tutti gli erbivori negli allevamenti biologici
devono avere accesso ai pascoli “ogniqualvolta lo consentano le
condizioni”.
In effetti non sembra saggio mandare al pascolo una vacca che ha appena
partorito, o una mandria mentre nevica o subito dopo acquazzoni che
abbiano inzuppato o reso scivoloso il terreno. In caso di
impraticabilità del pascolo, gli animali trovano riparo in locali che
garantiscono libertà di movimento e benessere adeguati, nel rispetto
del loro confort. Per quanto riguarda la deroga sulla “stabulazione
fissa” dei bovini, essa riguarda solo le piccole aziende (ossia con
meno di 10 capi, elevati a 30 nelle Regioni e Province autonome),
devono comunque assicurare agli animali il pascolo d’estate e non
devono mai ricorrere alla catena.
Per quanto riguarda le ovaiole, attualmente la normativa comunitaria
generale prevede che ogni gallina allevata in batteria disponga di uno
spazio di 550 cmq. L’Italia è già stata condannata dalla Corte europea
per non essersi ancora adeguata alla direttiva: in molti allevamenti
nostrani lo spazio è ancora di 450 cmq. Negli allevamenti biologici non
esistono batterie, un’ovaiola conta su uno spazio coperto di 1.666 cmq
e su una superficie scoperta dove razzolare di almeno 4 mq.: uno spazio
che è circa 90 volte quello che spetta alla sua compagna più sfortunata
allevata in gabbia. <br>
<b>Certificazioni, etichette e frodi</b><br>
Gli organismi nazionali di controllo (13, non dieci come riportato
nell’articolo, a cui si aggiungono quelli tedeschi autorizzati a
operare nella sola provincia autonoma di Bolzano) sono effettivamente
pagati dalle aziende che controllano. Così come il Consorzio di tutela
del Brunello di Montalcino, il Consorzio di tutela del Parmigiano
reggiano, o IMQ. Il Diario sospetta che a Montalcino il Consorzio
chiuda un occhio sui suoi clienti e marchi come Brunello del vino da
tavola di provenienza incerta? Sospetta che a Parma il Consorzio
consenta ai suoi clienti di usare latte in polvere? Oppure che, dato
che il cliente paga, IMQ apponga il suo marchio su un phon che dà la
scossa? Se tali cattivi pensieri sugli organismi di certificazione non
attraversano la sua mente, non si capisce perché l’onore spetti al
settore biologico. Va anche aggiunto che non sono le aziende a
insistere per sopportare i costi della certificazione (“Devo pagare per
dimostrare di non inquinare, facciano pagare chi inquina”, è un
ritornello ricorrente tra gli agricoltori biologici). E’ la norma che
pone a carico del controllato i costi del controllo: incolpare le
aziende biologiche per una legge approvata dal parlamento è un po’
esagerato. Gli organismi di controllo sono autorizzati dal Ministero
delle politiche agricole e forestali a seguito di un’istruttoria che ne
accerta capacità tecnica, indipendenza e terzietà. In seguito sono
sottoposti al controllo e alla supervisione delle Regioni; nelle loro
commissioni di certificazione siedono rappresentanti delle associazioni
dei consumatori; la maggior parte è accreditata dal Sincert
(l’authority italiana in materia di certificazione); alcuni sono
autorizzati a operare come certifying agent del governo Usa, altri sono
accreditati dal governo giapponese e concedono il marchio pubblico Jas
(Japanese agricultural standard), altri gestiscono gli schemi di
certificazione dell’extra-comunitaria Svizzera e di altri Paesi esteri.
L’indagine sul caso di frode di Ragusa che il Diario segnala, è partita
dalla comunicazione all’autorità competente da parte dell’organismo di
controllo (che già aveva sospeso gli operatori dal sistema di
controllo, con il ritiro della certificazione e della licenza). Un
altro tentativo di frode attualmente in dibattimento a Trento di cui il
Diario probabilmente non ha avuto notizia (riguarda qualche decina di
bovini) ha avuto ugualmente il via dalla denuncia dell’organismo di
controllo. Gli organismi non sono investiti della qualifica di polizia
giudiziaria, ma solo di controllo. La norma prevede che segnalino
all’autorità competente i comportamenti illeciti di cui vengano a
conoscenza. Dopo che l’hanno fatto, fornendo il “la” alle indagini, li
si vuole pure incolpare di connivenza?
Al di là dei casi di tentata frode denunciati dagli organismi di
controllo e dell’operazione “Riso amaro”, svolta autonomamente dai Nas
(a cui è andato l’apprezzamento dell’intero settore, ben convinto che
per la sua credibilità sia indispensabile la massima trasparenza), le
infrazioni di gran lunga più contestate sono errori veniali
nell’etichettatura (che magari recita “marmellata di albicocche”
anziché “confettura di albicocche” o “passata di pomodori biologici”
anziché “passata di pomodoro da agricoltura biologica”). Quello che ci
preoccupa di più sono invece le false infrazioni. I prodotti biologici
devono essere privi di residui; se le analisi degli organismi di
controllo rilevano la presenza di tracce di inquinamento da
fitofarmaci, alla partita dev’essere revocata la certificazione. Nella
quasi totalità dei casi, si tratta di contaminazione ambientale, di cui
l’agricoltore è completamente innocente: è accaduto che si siano
individuate tracce di sostanze il cui utilizzo è tecnicamente del tutto
insensato sulla coltivazione analizzata, la cui presenza è
evidentemente frutto di un inquinamento diffuso. La drammatica realtà è
che l’agricoltura convenzionale si è spinta talmente in là che può
bastare una banale pioggia a contaminare il prodotto (ma anche chi
passeggia) con tracce di sostanze chimiche utilizzate anche a molta
distanza e volatilizzatesi nell’aria. La manica larga dell’Europa
L'Unione europea non elargisce sovvenzioni al 90% delle aziende
biologiche italiane. Elargisce sovvenzioni al 90% delle aziende
agricole europee, biologiche e non. Le ispezioni e le frodi comunitarie
scoperte dal Comando Carabinieri Politiche Agricole dell’ottimo tenente
Di Noia non riguardano le aziende biologiche, ma tutte le aziende
agricole, alcune delle quali, evidentemente, non avevano diritto ai
contributi richiesti e percepiti. Dalle 4.656 aziende del 1993
l’agricoltura biologica è giunta all’apice nel 2001, con 60.509
aziende. Nel 2002 è iniziata una fase di assestamento (55.902 aziende)
che proseguirà per tutto il 2004. In realtà il numero di aziende è
diminuito solo in Sicilia (-3.002 agricoltori), Calabria (-1.713),
Sardegna (- 1.323) e Puglia (-1.152), aree in cui l’impennata degli
ultimi anni è da attribuire più ai finanziamenti europei che a scelte
tecniche. Non trattandosi di aziende orientate al mercato (come
giustamente riporta il Diario, continuavano a commercializzare il
prodotto nei canali di vendita abituali, accontentandosi di incassare
il contributo) il loro forfait non comporta un apprezzabile impatto
sull’organizzazione del mercato. Ci auguriamo, piuttosto, che il loro
ritorno alle tecniche agricole convenzionali non comporti un
apprezzabile impatto negativo sul loro territorio; al di là degli
aspetti nutrizionali e organolettici, infatti, è proprio sul
miglioramento delle condizioni dell’ambiente che concentriamo i nostri
sforzi. E, a guardare i dati dell’indagine della Bocconi, sembra
proprio che gli sforzi funzionino. Consorzio biologico per lo sviluppo
sostenibile <br><i>Fonte di informazione:</i> Consorzio biologico per lo sviluppo sostenibile </div>