<P align=justify>All'inizio la ''colpa'' degli scopazzi era stata addossata alla produzione integrata, ora tocca al biologico. Domani toccherà ai boschi? Interviene Atabio La polemica sugli scopazzi: Atabio guadagna la prima pagina del Trentino Troppa superficialità nei servizi sull'agriocoltura biologica. Troppa superficialità nel corso della giornata tecnica di frutticoltura. La questione del rapporto scopazzi/biologico ha preo avvio dalla domanda di un frutticoltore ''integrato'' che si è chiesto come comportarsi visto che la sua azienda si trova a fianco di un frutteto biologico, al quale viene subito attribuita la qualifica di “fonte di sicuro inoculo”. Su tale avvio, poi, sono stati sviluppati alcuni articoli sui giornali. I concetti che emergono da questi articoli sono i seguenti: 1) il frutteto bio viene presentato come fonte di sicuro inoculo. 2) Vengono associate le aree di terreno incolto alle aree a coltivazione biologica e, poiché l’incolto viene ritenuta sicura fonte di inoculo, per la proprietà transitiva anche il biologico è fonte di inoculo. 3) Si contrappone la produzione di mele a marchio Melinda, caratterizzate (ed è vero) da un grado di altissima qualità, alla pessima qualità (e non è vero) delle mele prodotte con metodo biologico. 4) Si contrappone il gruppo di Melinda (agricoltori e dirigenti) che si attengono alle indicazioni del Centro di Assistenza Tecnica (ed è vero) al gruppo dei “disobbedienti “ biologici, che operano al di fuori della cooperazione, che non sono seguiti dai servizi tecnici, che non sarebbero pressati dalla necessità di eliminare dai propri fondi le piante infette (e non è vero). 5) Si fanno confronti superficiali tra attività ed efficacia di principi attivi, senza approfondire l’argomento. 6) Si disquisisce sulla scelta della strategia di assistenza tecnica che meglio potrebbe soddisfare le esigenze del mondo dei produttori biologici. 7) Viene infine presentata anche la voce di un “biologico”, che esprime il concetto di scopazzi come problematica comune ai frutticoltori bio e integrati, pressati entrambi dalla necessità di affrontare la questione. Atabio ricorda che già nel 2000, in occasione delle giornate frutticole annuali, a una domanda proveniente dal pubblico, il coordinatore di Atabio rispose che tutti i frutticoltori, rispetto agli scopazzi, “sono sulla stessa barca”, e quindi tutti animati dalla stessa esigenza di produrre in quantità e qualità adeguate per rendere redditizia la propria attività imprenditoriale. Gli scopazzi vengono definiti “male oscuro”: poiché la lotta ai vettori non ha dato i risultati attesi (incidenza in aumento secondo i dati ufficiali), i frutticoltori biologici non hanno alcuna intenzione di divenire il capro espiatorio di una problematica la cui causa e dinamica è ancora ignota; purtroppo ciò che non si conosce è sempre fonte di insicurezza e di paura, tuttavia è opportuno agire con razionalità ed equilibrio e non gettare addosso al vicino la causa di mali, la cui origine deve essere ancora del tutto indagata. Già qualche mese fa si è tentato di addossare la colpa degli scopazzi al metodo della lotta integrata: le sacrosante reazioni di amministratori, agricoltori, tecnici, ricercatori e operatori economici hanno smentito tali semplificazioni. Oggi tocca al metodo della lotta biologica: dopo la nostra reazione, a chi toccherà: ai boschi, visto che alcuni vettori svernano su piante spontanee, e dopo? Forse è opportuno invitare gli organismi preposti e le istituzioni ad assumere il loro ruolo di guida competente e a ragionare con maggiore lucidità. Infatti, non ci conforta il sapere che l’Ufficio Frutticoltura del Centro di Assistenza Tecnica di San Michele all’Adige sta “ampiamente discutendo” il problema: il Centro di Assistenza deve ancora risolvere la questione della creazione di uno specifico gruppo di lavoro oppure se operare con i tecnici di territorio in merito al rapporto con il mondo della produzione biologica. Atabio ricorda, a tale proposito che, fin dal 2000 (e poi nel 2001, 2002, 2003 e 2004), ha proposto un progetto di ricerca, sperimentazione, formazione e assistenza tecnica in agricoltura biologica che non è mai stato preso in considerazione dalle istituzioni. Forse quest’anno, con l’entrata in vigore della legge Provinciale 4 del 2003, qualche passo in avanti verrà compiuto. Le questioni complesse non si affrontano con soluzioni precarie, ma con progetti seri. Altre considerazioni sono importanti: – La proposta tecnica per affrontare gli scopazzi si basa in gran misura sulla eradicazione dei vettori, mediante lotta chimica: qualsiasi manuale di entomologia agraria afferma che non è possibile eliminare totalmente una popolazione di insetti da un agriecosistema; si parla di abbassamento della popolazione al di sotto di determinate soglie, di controllo, ma non di eliminazione. Pertanto, il coinvolgimento propositivo e non contrapposto dell’agricoltura biologica, da sempre alla ricerca di metodi non solo chimici di controllo delle avversità, potrebbe condurre a buoni risultati. – Sarebbe importante una maggiore trasparenza nella pubblicazione di dati, risultati di ricerche e proposta di soluzioni, per evitare il diffondersi di “leggende metropolitane” e strategie “fai da te”. Ci riferiamo alle questioni relative al materiale vivaistico, all’efficacia delle estirpazioni o di prodotti miracolistici, all’utilizzo di piante resistenti, magari ottenute attraverso organismi geneticamente modificati. E poiché prendere posizione e criticare significa anche costruire, facciamo due proposte: a) commissionare uno studio che abbia la finalità di analizzare in forma comparativa la situazione degli scopazzi (incidenza, presenza vettori, altri dati significativi) in frutteti a conduzione biologica e in frutteti a conduzione integrata; gli esecutori di tale studio potrebbero essere istituzioni da noi considerate “super partes”: l’Istituto di Laimburg, l’Università di Padova, la Scuola di Specializzazione in agricoltura biologica di Torino; questo approfondimento dovrebbe fare chiarezza sulla presunta maggiore presenza di scopazzi nei frutteti biologici, dato la cui fondatezza è quantomeno da verificare; chi lo ha affermato se ne assuma la responsabilità, disposto anche a difendersi nelle sedi opportune, qualora i frutticoltori biologici intendessero tutelare il loro buon nome; b) organizzare un pubblico dibattito, anche con più puntate, nel quale possano serenamente confrontarsi tecnici, ricercatori e operatori del settore, per giungere a considerare il problema scopazzi come un problema comune a tutta l’agricoltura trentina, senza contrapposizioni. È possibile una convivenza proficua tra agricolture diverse e un contributo di esse all’economia trentina; ciò che la impedisce è l’ignoranza, l’intolleranza e la mancanza di uno spirito di reciproca accettazione; anche gli agricoltori biologici devono fare uno sforzo in questo senso, poiché le difficoltà non vengono mai da una parte sola. Michele Scrinzi coordinatore Atabio<BR><I>Fonte di informazione:</I> Trentino, Corriere delle alpi, 13 aprile 2004</P>