<P align=justify><TR><TD class=aswst9c valign="center" height="40">La nazione Iintervista a Marco Bignardi del Coordinamento toscano dei produttori biologici Le oche e le galline, le pecore e i maiali, il ciuco, il miele, gli ortaggi, e tutto intorno un odore di menta e piante officinali. <BR>Quanto può rendere una fattoria che cerca di ricostruire, fin nei particolari, l’agricoltura com’era? E’ un patetico omaggio alla memoria, un tuffo nel com’eravamo ad uso delle scolaresche che — guarda caso — vengono a visitarla, oppure è una vera proposta, anzi un affare con dignità economica e sociale?<BR>«Io sono un laureato in informatica — ci dice Marco Bignardi, presidente del Coordinamento toscano produttori biologici — studiavo computer che potessero aiutare gli handicappati. Ma capitava che i progetti, arrivati alla fine, non si trasformassero in realtà perchè non valeva la pena realizzarli. Non era economico produrne trecento esemplari per altrettanti disabili, mi dicevano. Ma quel tipo di logica non era il mio. E così mi sono lanciato in un’altra avventura. Per certi aspetti un’altra utopia. Sono diventato un contadino. Biologico ovviamente.»<BR>Che significa oggi produrre biologicamente. E’ una sfida, una provocazione, o una necessità?<BR>«E’ molto di più — sostiene Marco Bignardi — è una realtà economica ben precisa. In Toscana , stando ai rilevamenti dell’Arsia, sono coltivati biologicamente 83mila ettari di terreno. Quasi il nove per cento del totale. Gli operatori, le aziende che fanno questo tipo di attività sono oltre 2600. Il fenomeno è in espansione, costante. Ma per certi aspetti, il pericolo è proprio in questo diffondersi di una presunta cultura biologica.»<BR>Che cosa vuol dire? <BR>«Il nostro consorzio ha vent’anni. Fra di noi ci sono piloti d’aereo che a un certo punto hanno mollato i comandi e si sono messi a produrre vino ed olio. Finanzieri che hanno deciso di produrre cereali. Si è trattato di scelte di vita. La volontà di essere utili all’ambiente e ai consumatori. Salvare le biodiversità. Restituire antichi e dimenticati sapori. Far produrre di nuovo terreni altrimenti marginali. Costringere il mondo della produzione a confrontarsi con i nostri metodi.»<BR>Ottimo. E quale è il problema ? <BR>«Che tutti, anche la grande industria alimentare, ormai si presentano con le candide vesti dell’agricoltura biologica. E noi, autentici pionieri, artigiani, inflessibili nel rifiutare il pur minimo apporto di sostanze chimiche, ci troviamo nel mucchio. Abbiamo difficoltà a distinguerci. O meglio, a far capire ai consumatori la nostra autenticità»<BR>Sì, ma l’agricoltura in mezzo secolo ha fatto un percorso più lungo di quanto aveva fatto nei seimila anni precedenti. Senza questi progressi, oggi il mondo sarebbe alla fame.»<BR>E’ innegabile. Ma è anche vero che il consumatore deve sapere cosa realmente contengono i cibi che acquista. Le etichette tutt’altro che chiare, la pubblicità, tutto tende a confondere le idee. Alla fine, chi ci rimette, sono i puri. E poi non è vero che agricoltura biologica significa sempre diminuire la produzione. A Pomarance, due anni fa, l’azienda il Cerreto ha prodotto biologicamente 30 quintali ad ettaro di grano. Pari pari la quantità di quanti, nella zona, hanno fatto uso di diserbanti e simili.»<BR>E’ un caso?<BR>«No, è la nostra capacità di rispettare e sfruttare sino in fondo le potenzialità del terreno. Noi i problemi si anticipano. Seminando al momento più giusto, ritornando alle rotazioni di culture, lavorando lo strato superficiale, utilizzando macchine più raffinate. Rispetto a mezzo secolo fa, in piena mezzadria, l’agricoltura biologica ha fatto passi da gigante.»<BR>Sì ma quanto costa?<BR>«Ci sono maggiori rischi, non c’è dubbio, per quanto riguarda il raccolto. Ma quali sono i rischi ambientali di chi usa la chimica in modo indiscriminato? Senza contare che noi possiamo agire su terreni altrimenti considerati marginali. E non è tutto. Quanti agricoltori, su aree estese, non coltivano i prodotti agricoli ma le sovvenzioni? Si pianta una cosa o l’altra — senza pensare alla qualità — in base ai soldi che ha promesso l’Europa.»<BR>A chi è rivolto oggi un prodotto biologico? <BR>Un tempo lo si diceva tanto più sano e originale quanto più ''brutto''.<BR>«Era i giorni dei figli dei fiori. La rivoluzione si voleva fare anche in campagna. Oggi è diverso. Il prodotto biologico è prima di tutto un prodotto di ottima qualità. Sano. Che non ha modificato l’ambiente. E come tale è rivolto ad un consumatore cosciente, ad uno che se ne intende per davvero. Per certi aspetti è un prodotto griffato. Chiediamoci una volta per tutte. Perché saper scegliere una buona auto o un buon vestito è un titolo di merito, mentre lo scegliere un prodotto alimentare, è affidato quasi sempre al caso? <BR>Maurizio Naldini<BR><I>Fonte di informazione:</I> La Nazione<BR></P></TD></TR><TR><TD class=aswst9ca></TD></TR>