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<P align=justify>In risposta a quanto sostenuto da Piero Pittaro sulla prima pagina del Gazzettino del 4 maggio sulla viticoltura biologica, alcune precisazioni sono d'obbligo. E' ben vero che a livello comunitario il vino sia l'unico prodotto trasformato non normato dal regolamento europeo 2092/91 (quello che definisce l'algricoltura bio) e di conseguenza, se ci si basa solo sulle norme europee, si può parlare di ''vino ottenuto da uve biologiche'' e non di ''vino da agricoltura biologica''-''Vino biologico'' così come ''mela biologica'' o ''formaggio biologico'' sono comunque diciture non regolamentari perché quello che viene controllato e certificato è il metodo e non il prodotto. In pratica la Comunità Europea stabilisce che cosa si può fare nel vigneto ma non quello che si può fare in cantina. Però esistono in Italia, come nel resto d'Europa, disciplinari privati che regolamentano anche la fase di trasformazione dell'uva in vino (il nostro ad esempio si può scaricare dal sito, www.aiab.it alla voce disciplinari) ed a quel punto, controllando sia il vigneto che la cantina, si può parlare di ''vino da agricoltura biologica''. Merita però una riflessione il fatto che proprio il vino non sia stato contemplato all'interno del regolamento comunitario. Come mai il vino no e l'olio extravergine d'oliva piuttosto che i biscotti o il formaggio oppure ancora il succo di mela o la pasta sì? Ebbene, pare proprio che la potente lobby del vino non voglia accettare l'idea di vedere sugli scaffali delle enoteche e dei supermercati qualcosa che possa suggerire che l' ''altro'' vino, quello convenzionale, così naturale e genuino proprio non è. Dal punto di vista scientifico affermare che i fitofarmaci impediscono la fermentazione alcolica e che quindi ''se il vino è inquinato con pesticidi non fermenta'' è una bella acrobazia: i lieviti e funghi come la peronospora o la botrite sono sistematicamente talmente lontani che quello che agisce su uno difficilmente ha effetto anche sugli altri. E' come sperare che l'aspirina possa fare qualcosa per il mal di schiena o curare le verruche con lo sciroppo per la tosse. Non a caso le schede tecniche degli anticrittogamici citano sempre il fatto che ''il prodotto non ha effetto sui lieviti'' oppure che ''non interferisce con la fermentazione''. Ciò non è poi così strano visto che le ''malattie'' della vite sono causate da funghi mentre quelli che trasformano lo zucchero in alcol nel vino sono dei lieviti. Il pyrimethanil, tanto per citarne uno, non infastidisce minimamente i lieviti nemmeno se aggiunto in fermentazione! Solo qualche vecchio prodotto, tipo il Folpet, come residuo, interferisce con il lavoro dei lieviti. Che dire invece dei più recenti antibotritici (anilinopirimidine, dicarbossimidi, benzimidazoli) che vengono utilizzati fino a 10 giorni dalla vendemmia e, garantito dalla casa produttrice, non hanno effetti sui lieviti? Significa che possono tranquillamente lasciare residui che tanto ai lieviti fastidio non danno, a chi poi il vino lo beve... non si sa! Diverse prove scientifiche (ad esempio quelle condotte dal Catev dell'Emilia Romagna ancora una decina di anni fa) dimostrano come diversi anticrittogamici residuino nel mosto e nel vino, cosa che invece ad esempio con il rame non succede. Strano poi come l'articolo del signor Pittaro citi solo peronospora e oidio: forse che i trattamenti contro la botrite (in prossimità della vendemmia con quei prodotti ''amici dei lieviti'' di cui poc'anzi si è accennato) non li effettua? I biologici in tale caso possono solo che andar di forbice, per sfoltire la vegetazione e migliorare la circolazione dell'aria tra foglie e grappoli. Tignole e tignolette forse non si meritano alcuni trattamenti con fosforganici? Mentre i biologici usano la confusione sessuale o il Bacillus thuringiensis. E questi residui non ne lasciano proprio, nè nel vino nè nel vigneto. E le cocciniglie, le cicaline ed ancor meglio gli acari... quanti altri interventi chimici meritano? Il tutto oltre i 12-15 trattamenti antiperonosporici con prodotti vari che risultano ben più pericolosi soprattutto per l'ambiente, non tanto e non solo per il consumatore, del vecchio rame, che comunque i biologici utilizzano con un tetto massimo di 8kg/ha/anno e con la consapevolezza che tra quanche anno non lo useranno più, visto che così è stato deciso dall'intero del movimento del biologico (all'assemlea IFOAM di Basilea nel 2000) prima ancora che dalla Comunità Europea. Precisiamo poi che sulla fertilizzazione non è che i viticoltori biologici non siano sottoposti alle norme generali e quindi non siano controllati dalle Asl. Semplicemente essi utilizzano, rispettando le leggi e sotto il controllo di tutte le autorità, Asl comprese, solo e soltanto prodotti di origine vegetale e animale (letame - non solo quello che si trasporta col carro ma anche quello pellettato e venduto in sacchi - compost, borlande ecc.) o minerale (come il solfato potassico-magnesiaco). In viticoltura convenzionale si può utilizzare una vasta gamma di prodotti di derivazione petrolchimica, molto efficienti ma che però hanno il brutto vizio di inquinare le acque di falda. Ed infine i diserbanti: il glifosate che di solito si utilizza per tener puliti i filari non darà residui nel vino, ma effetti negativi sull'ambiente è certo che li ha! Si può ancora dire che ''tutto il vino è biologico''? Credo proprio di no e, se questo comunque può giovare alla serenità del signor Pittaro, entro un paio di anni la Comunità Europea normerà anche la vinificazione con il metodo biologico. A quel punto l'etichetta ed il logo europeo, non soltanto quelli delle associazioni del settore, gli garantiranno di bere un affidabile buon bicchiere di vino biologico. Cristina Micheloni Associazione Italiana Agricoltura Biologica <BR><I>Fonte di informazione:</I> Il gazzettino, 4 maggio 2004</P>