<div style="text-align: justify;">L’Unione
Europea ha giudicato discriminatorio l’obbligo italiano di indicare
nelle etichette del pollame e dei prodotti derivati il Paese d’origine
e la data di importazione. Infatti, ieri l’Esecutivo Ue ha inviato
all’Italia un parere motivato, secondo stadio della procedura
d’infrazione, sostenendo che gli obblighi previsti dalla legislazione
nazionale dell’agosto 2005 sull’etichettatura della carne di pollo non
sono compatibili con le norme Ue. L’Italia avrà due mesi di tempo per
rispondere, altrimenti ci sarà il deferimento di fronte alla Corte di
Giustizia europea. Ma il Ministro De Castro ha dichiarato di non voler
cambiare rotta. Il fatto è che Bruxelles ritiene ingiustificata la
pretesa italiana di obbligare produttori e importatori di pollame a
indicare il Paese di origine per poter identificare più facilmente
prodotti a rischio nel caso di un’esplosione di epidemia di aviaria.
Secondo la Commissione Ue, infatti, le rigide regole veterinarie
esistenti garantiscono la sicurezza della carne di pollo, e il
Regolamento comunitario 1906/90 dice che gli Stati possono richiedere
l’etichetta d’origine solo se l’assenza di informazione potrebbe
ingannare o confondere il consumatore. Specificano inoltre che è
possibile indicare il luogo d’origine volontariamente, ma uno Stato non
può imporre tale segnalazione. Eppure in tutto ciò un fondo di
contraddizione c’è, se si considera che la Commissione stessa consente
l’etichettatura d’origine obbligatoria per carne bovina, uova, pesce,
ortofrutta fresca e miele.
<br></div><i>Fonte di informazione:</i> “Il Sole 24 Ore”, 20 luglio 2007, pg. 19.